La questione delle dimissioni volontarie del docente non appare così chiara né al personale scolastico e neppure a coloro che desiderano lavorare nell’ambito dell’insegnamento.
In quanto dipendenti pubblici, sia docenti che personale ATA hanno specifici obblighi e condizioni da rispettare. Comunque sia, la richiesta di dimissioni da parte di un docente o di un operatore ATA è perfettamente lecita.
In questa breve guida Unicusano osserveremo da vicino cosa prevede la normativa di riferimento e quali sono i termini del preavviso, anche in relazione all’anzianità di servizio.
Dimissioni volontarie docente: normativa
Come funzionano, quindi, le dimissioni volontarie da parte del docente/ATA in corso d’anno? È necessario un preavviso? E se sì, che tempistiche prevede? È possibile inoltre accettare subito un altro lavoro?
Per rispondere a tutti questi interrogativi, occorre procedere un passo alla volta. Innanzitutto, è del tutto legittimo per i pubblici dipendenti presentare, in costanza di rapporto di lavoro, le dimissioni volontarie dal posto di lavoro.
Il D.lgs. 29/1993 ha dato l’avvio alla privatizzazione del pubblico impiego che ha riguardato anche i dipendenti scolastici. Al rapporto di lavoro si applicano le norme del Testo unico sul pubblico impiego (D. Lgs. 165/2001), del codice civile e delle leggi sul rapporto di lavoro.
Anche le dimissioni volontarie dunque seguono quanto espresso dalle leggi civili per ciò che riguarda le modalità e i termini di preavviso. La normativa regola anche gli adempimenti che spettano all’istituzione scolastica.
Dimissioni: cosa sono e come si applicano
Nel contesto di un rapporto di lavoro, con il termine “dimissioni” si fa riferimento all’atto unilaterale del dipendente con il quale questi manifesta al proprio datore di lavoro la decisione di risolvere il contratto di lavoro in essere.
Le dimissioni non necessitano di una motivazione da parte del dipendente e non possono essere sindacate dal datore di lavoro. Nel caso di docenti o personale ATA, non è dunque necessaria alcuna forma di accettazione da parte dell’Amministrazione scolastica.
Ciò sta a significare che le dimissioni del docente non necessitano, ai fini dell’efficacia, di un provvedimento formale di accettazione da parte dell’Amministrazione scolastica.
In ambito scolastico le dimissioni sono frequenti, vista la precarietà di molti insegnanti (si pensi a supplenti ecc.) o la possibilità di superare prove concorsuali che prevedono una nuova assunzione o, ancora, la possibilità di trasferimento da un istituto ad un altro.
In ogni caso, le dimissioni possono essere revocate dal dipendente, entro congruo termine, rendendole di fatto prive di effetto.
Dimissioni docente: art. 510 D. LGS. 297 del 1994
Come previsto dal D.P.R. n.351/1998, le dimissioni del personale scolastico seguono l’andamento dell’anno scolastico, che dunque deve essere portato a termine.
Quindi, seppur presentate durante l’anno in corso, le dimissioni spiegano i propri effetti a partire dal primo settembre dell’anno scolastico successivo a quello di presentazione.
Pertanto l’anno scolastico nel quale vengono presentate formali dimissioni va obbligatoriamente completato. Le dimissioni diventano dunque effettive a partire dal primo settembre dell’anno scolastico successivo, in modo da garantire il corretto svolgimento dell’attività didattica corrente.
Nei casi in cui le dimissioni siano prese con effetto immediato, però, queste spiegano i loro effetti con una decorrenza differente, in relazione a quando sia stata prevista la loro efficacia dal lavoratore.
Con la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, infatti, non si applica più l’art. 510 del D. Lgs. 297 del 1994 secondo il quale il dipendente è tenuto a prestare servizio fino a quando non riceva formale comunicazione di accettazione delle dimissioni da parte del datore di lavoro.
In caso di decorrenza diversa è consigliata l’attivazione della procedura di decadenza con annessa “Risoluzione di rapporto per decadenza” (causale di registrazione dimissioni “CS07”).
Il preavviso
Con il termine “preavviso” si intende formalmente il tempo che intercorre tra la comunicazione dell’intenzione di dimissioni del dipendente e l’effettiva interruzione del rapporto di lavoro.
I termini di preavviso sono stabiliti al fine di tutelare il datore di lavoro (che si vede privato dell’apporto di un dipendente) e ad attutire gli effetti pregiudizievoli.
La normativa di riferimento per i termini di preavviso è l’art. 2118 del codice civile che rimanda a sua volta alle modalità stabilite dai singoli CCNL. Nel caso del reparto istruzione si fa dunque riferimento all’art.23 del CCNL Comparto Scuola 2006-2009.
Il preavviso, anche nel caso delle dimissioni volontarie del docente, incontra dei limiti temporali.
Per il comparto Istruzione, trova applicazione l’art. 23 del CCNL Comparto Scuola 2006-2009, che fissa i termini del preavviso in modo categorico.
In tutti i casi in cui il presente contratto prevede la risoluzione del rapporto con preavviso o con corresponsione dell’indennità sostitutiva dello stesso, i relativi termini sono fissati come segue:
- 2 mesi per dipendenti con anzianità di servizio fino a 5 anni;
- 3 mesi per dipendenti con anzianità di servizio fino a 10 anni;
- 4 mesi per dipendenti con anzianità di servizio oltre 10 anni.
Il termine di preavviso varia dunque in base all’anzianità di servizio e il suo rispetto serve a tutelare anche il regolare svolgimento delle attività didattiche.
Anche nel caso in cui il docente dia il preavviso previsto, dovrà prestare servizio sino al termine certamente delle lezioni e delle attività in presenza e il rapporto di lavoro cesserà dal 1° settembre.
Rispetto del preavviso e adempimenti dell’Amministrazione scolastica
Come ribadito in diverse occasioni dagli Uffici Scolastici regionali, il dipendente deve rispettare il preavviso nella formalizzazione delle dimissioni. In caso contrario, l’Amministrazione deve provvedere al recupero delle somme corrispondenti al periodo di preavviso non rispettato (anche eventualmente operando le dovute trattenute in busta paga).
La questione delle dimissioni docente fa sì che anche l’Amministrazione scolastica debba rispettare alcuni adempimenti.
In presenza di formali dimissioni presentate dal dipendente, l’istituzione scolastica di titolarità deve infatti:
- Accettare formalmente le dimissioni, comunicandole al dipendente dimissionario (atto che ricordiamo non è necessario ai fini dell’efficacia delle dimissioni);
- Trasmettere gli atti all’Ufficio Scolastico Provinciale di riferimento;
- Inserire tramite apposita funzionalità sul SIDI (sistema informativo dell’istruzione) la cessazione del rapporto di lavoro del dipendente dimissionario;
- Eseguire formale comunicazione alla Ragioneria Territoriale dello Stato per la formale chiusura della partita di spesa fissa, sulla quale venivano erogati gli stipendi del dipendente.
Dimissioni volontarie docenti: la procedura
Per rassegnare le dimissioni, il lavoratore deve riempire un modulo, che oggi è possibile compilare solo online, al fine di contrastare il fenomeno diffuso delle dimissioni in bianco.
In questo, nuove regole sono state introdotte dal Jobs Act, ossia la riforma del diritto del lavoro volta a flessibilizzare il mercato del lavoro e completata in Italia.
Le nuove regole del Jobs Act prevedono due opzioni:
- inviare il modulo tramite il sito del Ministero del Lavoro. In tal caso, è necessario munirsi del Pin INPS Dispositivo. Si accede così a un modulo online che permette di recuperare le informazioni sul proprio rapporto di lavoro. Si potrà quindi inserire i dati relativi alle dimissioni;
- rivolgersi a un soggetto abilitato (un’organizzazione sindacale, un consulente del lavoro, un patronato, l’Ispettorato del lavoro) col compito di compilare i dati e inviarli al Ministero del Lavoro.
Il lavoratore può revocare le dimissioni volontarie entro 7 giorni successivi alla richiesta. Scaduto questo termine, il diritto di ripensamento decade.
Gli effetti delle dimissioni
Le dimissioni comportano dunque la cessazione della propria funzione in modo permanente. E questo vale naturalmente anche per coloro che esercitano il ruolo di docente.
Ma cosa accade se si ha un ripensamento dopo che è già scaduto il termine per revocare le proprie dimissioni? Si può tornare a insegnare o a esercitare una funzione pubblica?
La riposta è sì, ma la richiesta di riammissione può essere accettata solo nel rispetto di procedure precise:
- L’interessato deve innanzitutto presentare la domanda di riammissione alla Sovrintendenza Scolastica entro il 15 gennaio di ogni anno;
- L’ultima scuola in cui il docente ha prestato servizio deve esprimere un parere sull’interessato;
- Dopo che la sezione competente della Direzione Scolastica Regionale esprime un parere, la Sovrintendenza Scolastica valuta la compatibilità della domanda;
- Si procede quindi alla verifica della disponibilità di cattedre;
- All’interessato viene comunicata la disponibilità di cattedre;
- Stipulazione del contratto e assunzione dell’interessato a partire dall’inizio dell’anno scolastico successivo (1° settembre).
Dal momento che la riammissione dipende dalla presenza di cattedre disponibili, è possibile che l’insegnante sia riammesso in una scuola diversa dall’ultima in cui ha lavorato.
Le dimissioni volontarie del docente non danno in ogni caso diritto ad alcun sussidio di disoccupazione, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa.
In tal caso, è possibile richiedere la Naspi: “Lo stato di disoccupazione, necessario per ottenere l’ indennità di disoccupazione Naspi, deve essere involontario, quindi che il rapporto di lavoro non sia terminato a causa di dimissioni o consenso volontario. Unica eccezione è il caso delle dimissioni per giusta causa: in quel caso e solo in quello, anche se dal punto di vista formale la decisione di interrompere il rapporto lavorativo è presa dal dipendente, in realtà questa avviene dopo una serie di pressioni e atteggiamenti del datore o di altri colleghi.”
Ovviamente le dimissioni del personale ata seguono lo stesso iter e sono soggette alla stessa normativa di quelle dei docenti.
L’alternativa alle dimissioni: l’aspettativa
Per i docenti, così come per molte altre categorie lavorative, esiste un’alternativa alle dimissioni: l’aspettativa.
Prendersi un anno sabbatico e riflettere sul proprio futuro professionale: questo, in sintesi, consente l’aspettativa. Tecnicamente si chiama aspettativa non retribuita e presenta le seguenti caratteristiche:
- Ci si allontana dal lavoro per 1 anno
- Si conservi il proprio posto di lavoro
- Non si riceve lo stipendio e neppure i contributi
La richiesta per questa aspettativa può essere fatta in ogni momento ma, il tempo di riferimento è l’anno accademico, per cui l’astensione dal lavoro scatta a settembre e varia in base ai motivi per cui viene richiesto.
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