Autismo a scuola: come riconoscerlo e le strategie per gli insegnanti

Cosa significa autismo? Per autismo si intende un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale che provoca ristrettezza di interessi e comportamenti ripetitivi.

Recentemente si parla soprattutto di Disturbi dello Spettro Autistico (DSA o, in inglese, ASD, Autistic Spectrum Disorders).

Di base, i sintomi si manifestano precocemente e permangono per tutto il corso della vita.

La scuola svolge un ruolo molto delicato nel notare i primi segnali di autismo e attivare prontamente un percorso mirato di studi e di inclusione.

Ma vediamo nel dettaglio come riconoscerlo e le strategie da adottare a livello didattico.

Autismo a scuola 

Gli alunni con autismo possono presentare in misura più o meno marcata disturbi sensoriali, problemi del sonno, di alimentazione, disarmonie motorie, disarmonie nelle abilità cognitive, scarsa autonomia personale e sociale, autolesionismo e aggressività.

Autismo a scuola: cosa fare 

Talvolta il comparto docenti non riesce ad affrontare tutte le problematiche legate al disturbo dell’autismo a scuola, perché manca una preparazione specifica.

Il bambino autistico generalmente ha difficoltà a stabilire e a mantenere un contatto visivo con le persone che entrano in relazione con lui.

Pertanto è necessario, quando si intende interagire con lui:

  • stabilire e mantenere un contatto oculare e spronare il bambino a fare altrettanto;
  • parlare in modo chiaro e/o servendosi dell’ausilio di immagini in caso di problematiche linguistiche;
  • rivolgersi a lui in modo calmo;
  • – Promuovere la strategia di imitazione dei pari per ottenere i comportamenti adeguati e desiderati da parte del bambino;
  • suddividere un dato compito in sequenze semplici;
  • utilizzare il canale visivo per l’apprendimento, avvalendosi di schemi, tabelle e immagini;
  • Avere empatia.

In buona sostanza, è buona prassi rispettare i tempi e le modalità di comunicazione visive, piuttosto che verbali, cercando di integrare entrambe le strategie.

Infine, i dispositivi tecnologici come PC o tablet sono di grande aiuto al fine di migliorare le abilità comunicative di base.

Autismo a scuola: cosa non fare

Il bambino autistico spesso mette in atto dei rituali o ha abitudini severe e può reagire in malo modo alla forzatura di tali schemi mentali con improvvisi crisi e scoppi d’ira. Quindi, è dannoso tentare di forzarlo bruscamente a modificare le proprie abitudini

Occorre di conseguenza rispettare i suoi tempi e non richiedere troppi cambiamenti improvvisi. Inoltre, è utile strutturare la sua giornata tipo in modo chiaro, pianificando in anticipo le attività.

Altra cosa da evitare è attuare degli interventi punitivi. Piuttosto, sarà necessario mettere in atto la strategia del SE-POI, al fine di promuovere nel bambino lo sviluppo di una riflessione sulle conseguenze delle proprie azioni.

Autismo e dislessia

La dislessia fa parte dei disturbi specifici dell’apprendimento o DSA ed è una condizione caratterizzata da problemi con la lettura, e la diagnosi che si formula è indipendente dall’intelligenza della persona.

Diverse persone ne sono colpite in misura diversa. I problemi possono includere difficoltà nella pronuncia delle parole, nella lettura veloce, nella scrittura a mano, nella pronuncia delle parole durante la lettura ad alta voce e nella comprensione di ciò che si legge.

Ci sono dei punti in comune tra i bambini autistici e quelli dislessici. È tuttavia necessario specificare che si tratta di due disturbi completamente diversi.

I sintomi della dislessia sono molto differenti da quelli dell’autismo, sia per quanto riguarda la tipologia, sia per quanto riguarda l’insorgenza.

L’autismo si manifesta sin dai primi anni di vita (dai 3 anni circa) attraverso:

  • deficit comunicativo e isolamento;
  • assenza di comunicazione paraverbale (sguardo, mimica, gesti);
  • stereotipie (comportamenti e movimenti sempre uguali e ripetitivi)
  • ecolalie (ripetizione delle parole sentite da altri);
  • deficit del contatto di sguardo;
  • difficoltà ad apprendere le regole più o meno esplicite dell’interazione sociale;
  • assenza di risposta nel sentire il proprio nome;
  • difficoltà a decifrare e interpretare cosa gli altri pensano o sentono.

Inoltre, in alcuni casi i bambini autistici presentano un ritardo mentale e cognitivo.

Questi sintomi sono del tutto (o quasi) assenti nei bambini dislessici, che invece manifestano le prime difficoltà in concomitanza con l’inizio della scuola primaria, vale a dire:

  • difficoltà nel riconoscimento delle lettere o dei numeri;
  • difficoltà nel riconoscimento dei gruppi sillabici;
  • difficoltà nella lettura;
  • difficoltà nell’organizzazione della scrittura all’interno della pagina, ecc.

Alunni con bisogni educativi speciali

Gli studenti BES, ovvero alunni con Bisogni Educativi Speciali, hanno bisogno di una particolare esigenza di apprendimento a causa di una serie di fattori di stampo sociale, culturale ed economico.

A loro è dedicata una normativa specifica, per garantirne la perfetta inclusione scolastica.

In sostanza, esistono tre differenti tipologie di BES, che sono le seguenti:

  • alunni con disabilità;
  • alunni con disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, ecc.);
  • alunni con svantaggi sociali e/o culturali e/o linguistici.

Nel caso di disabilità o di disturbi evolutivi specifici è necessaria una diagnosi preliminare e la successiva certificazione. Per gli altri tipi svantaggi, invece, l’individuazione, il riconoscimento e l’intervento è responsabilità del docente.

Ecco perché è così importante che gli insegnanti siano adeguatamente formati, in modo da riconoscere e da intervenire, a livello pedagogico, in una classe dove sono presenti alunni con Bisogni Educativi Speciali.

Essere un bravo insegnante non significa soltanto trasmettere ai propri studenti tutta una serie di conoscenze teoriche o coinvolgerli a livello empatico, perché per svolgere al meglio la propria professione è importante che il docente in questione sia preparato e non soltanto a livello didattico. Quindi, è necessario che si munisca di un bagaglio di conoscenze, competenze e strumenti che rendano possibile un approccio consapevole alla problematica dei BES.

Infatti, è soltanto attraverso una conoscenza approfondita e un’attenzione particolare verso comportamenti, atteggiamenti, attitudini ed esigenze che il corpo docente sarà in grado di individuare eventuali bisogni speciali e adeguare in tal senso la didattica.

Quali sono i Bisogni Educativi Speciali? 

Vediamo nel dettaglio cosa comprendono le singole voci delle categorie di BES sopra citate.

Disabilità motorie e disabilità cognitive

Queste condizioni sono certificate dal Servizio Sanitario Nazionale e fanno riferimento alla legge 104/92. A livello didattico queste difficoltà prevedono la presenza dell’insegnante di sostegno e di un Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Disturbi Specifici di Apprendimento e/o Disturbi Evolutivi Specifici

Disturbi Specifici di Apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia), ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), autismo, Funzionamento Intellettivo Limite.

Si tratta di situazioni patologiche che esordiscono nell’età dello sviluppo e che vengono diagnosticate dal Servizio Sanitario Nazionale o da specialisti privati.

La scuola che riceve la diagnosi è tenuta a redigere per ogni studente un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e non è prevista la figura dell’insegnante di sostegno.

Svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale

Questa categoria comprende disturbi legati a fattori socio-economici, linguistici e culturali come la non conoscenza della lingua e della cultura italiana, alcune difficoltà di tipo comportamentale e relazionale, problematiche personali o familiari tali da compromettere il normale percorso scolastico.

Rientrano in questa categoria tutte le situazioni in cui c’è una difficoltà che non implica una diagnosi o in cui è presente un disturbo o una condizione patologica che non è ancora stata diagnosticata.

Ritroviamo qui anche i bambini “plusdotati” o con un alto potenziale cognitivo. Si tratta di alunni che dimostrano capacità di apprendimento e curiosità molto sviluppate e che necessitano di un percorso didattico personalizzato per essere stimolati adeguatamente e affinché il loro talento non si trasformi in comportamenti improduttivi o dannosi, che spesso generano situazioni di disagio o di emarginazione.

 

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